Araba Fenice

20.1.03

Il Mondo Teoretico
Perché combattere per una teoria? Perché accanirsi alla ricerca della sua falsificazione?
Può avere un senso farlo solo se anche la confutazione è un processo narrativo come la teoria.
La teoria è una forma artistica.
E non solo come la intende Feyerabend. È letteratura dell'interno. Non può esservi teoria senza una vita interna, senza che esiste un mondo, pur anche minimo, da costruire e da vivere, da vedere, ascoltare, toccare.
La persona incline alla teoresi è, almeno in questa attività un intenso estroverso e la sua opera va guardata come una poesia, come un romanzo epico da condividere, ritrovandovici o prendendone le distanze.
La prova della teoria è innanzitutto estetica (come in parte descrive il Bach, Escher e Godel di Hofstader) e la bellezza e il calore, l'ospitalità e l'arditezza immaginativa sono le sue caratteristiche migliori. Una creatura come un figlio partorito da Minerva, dalla sua mente, come dal suo cuore.
Mio figlio, Dimitri, a quattro o cinque anni mi spiegava che per trovare le risposte più vere doveva sospendere l'attività mentale, lasciando che il pensiero sprofondasse fino al cuore per poi riemergere con una risposta sentita, ispirata.
Una storia da raccontarci, una storia sentita, vera per lui, un'opportunità per noi di condividerla, di viverla insieme senza minimamente giudicarla, ringraziandolo di questa offerta di un piccolo mondo nuovo, di un modo per ripensarci e ripensare al quotidiano troppo facilmente ispirato alla convenzione meccanicistica superstiziosa della nostra "realtà".

Il lutto generatore
Duro a dirsi e soprattutto ad accettarsi, la trasformazione e la maturità passano attraverso la bara. Non è certo una novità, visto che molti rituali esoterici passano da lì e persino la predicazione di Cristo lo afferma.
Eppure mi torna alla mente ritornando a leggere la vita di Jung. Dopo la sua separazione da Freud egli visse un'esperienza tra la depressione profonda e la più o meno esplicita dissociazione. Ne uscì non senza albergare in sé qualche fantasma. Tuttavia l'uomo che emerse era una persona diversa, molto lontana dall'altra tanto da poter apparire rinato a se stesso. Pagato il pegno alla sua biografia, lo spirito dell'antico prese il timone, qualcuno potrebbe dire che accettò di introiettare il padre, di farsi carico dell'animus conflittuale. Sta di fatto che solo il dolore, il profondo dolore, trsformò la sua vita come una formace alchemica e partorì un altro.
Dobbiamo per forza passare di là per rinascere? Certo spesso l'unica possibilità per uscire da quei disperati cul de sac dell'esistenza è la rinascita, e quindi una qualche forma di suicidio. E quella del suicidio è l'esperienza più dura, subito dopo la resistenza al suicidio fino alla consunzione della malattia terminale.
Persino la patologia tumorale è un'interpretazione somatica di questo dramma, quando esso non venga rappresentato nel teatro della psiche o meglio ancora in quello dell'identità.
A questo proposito I Ching mi offrono la configurazione dell'Assillo:
Sotto al lago si apre l'abisso che lo svuota dell'acqua. La situazione è quella dell'esaurimento (delle energie, della forza, della lucidità mentale, dell'anima...). Il segno precedente accennava ad un accrescimento incessante, un incedere senza sfogo che porta ad interpretare quest'immagine anche come "assillo".
Ma è proprio questa la situazione che mette alla prova i caratteri. Superare il disorientamento e la perdita di riferiementi fondamentali che deriva dall'esaurimento dei sentieri dopo l'assillante esasperata insistenza a trovarne, quando questa si rivela vana e, quando ci si ferma, non si sa più dove ci si trova, dove si è andati a finire, chi si è diventati. L'assillo è formatore d'anime perché insegna a superare le beghe quatidiane e ad uscire dalla trappola samsarica del risentimento: solo accettando la radicalità della propria morte a sé stessi si può arrivare a dimenticare il dolore e il risentimento per chi veramente o nell'immaginario ci ha sballottati in questa corsa, nella moscacieca, nell'umiliante trabocchetto della rincorsa narcisistica. La separazione è il superamento della soluzione bellica e anche l'abbraccio di valori più alti: il salto ad un metalivello che valga la pena di vivere anche se può essere molto rischioso o difficile da governare. Non sempre va bene, soprattutto quando non si ha una fede interiore a guidarci.
Le esperienze iniziatiche sono ricche di questi momenti. La schismogenesi di Bateson ne testimonia in altra forma.
I Ching affermano che in queste occasioni, invece di arrendersi o provarle tutte, la persona forte cerca in sé la fede, ovverosia, "Il nobile mette in palio la sua vita per seguire la propria volontà" e rinascere realizzando l'opera o distruggendosi in un fallimento ultimativo.

14.1.03

Mappa Transpersonale
Il termine "Transpersonale", impiegato da Emmanuel Mounier e il movimento personalista dal 1947 (ma anche dalla psicosintesi di Assagioli dagli anni '20) è passato in voga negli anni '70 con lo studio degli stati di coscienza modificati, dopo essere stato scelto ed enfatizzato da Abraham Maslow nel '69 come ultimo livello della sua famosa scala delle motivazioni umane. Il superamento di sé come bisogno nasce dallo studio delle esperienze di vetta (peack-experience). È la necessità di riporre un significato dell'esistenza che vada al di là delle contingenze quotidiane. Assieme al viennese Victor Frankl, al ceco Staislav Grof, a Carl Rogers, Jim Fadiman, Antony J. Sutich fonda in quell'anno il Journal of Transpersonal Psychology e spiega "Ritengo che la terza via costituita dalla psicologia umanistica debba essere trasizionale, una preparazione per una, ancor più alta, quarta psicologia, transpersonale, transumana, focalizzata sul cosmo più che su bisogni e interessi umani, che vada al di là dell'umano, dell'identità, dell'attualizzazione dell'Io e del resto.
I Padri
Carl Gustav Jung nel '17 introduce il termine "uberpersonlisch" e con l'idea degli archetipi dell'inconscio collettivo postula una dimensione ultrafisica pronta a ospitare le basi del transpersonale.
Roberto Assagioli, 13 anni più giovane di Jung introduce nella psicosintesi dei piani dell'io che, sulla scorta delle discipline orientali, superano l'io e la coscienza strettamente personale.
Robert Desoille, amico di entrambi, introduce il metodo del sogno da svegli guidato, spingendosi a descrivere esperienze prenatali, e comunque estranee all'identità del sognatore
Victor Frankl nel 50, uscito da un campo di concentramento definì il suo metodo logoterapia (da logos verbo, significato creatore vivificante; contrappone alla "psicologia del profondo" la sua "psicologia delle altezze", a indicare (come già fecero Jung, Assagioli e Adler) la priorità della meta progettuale sull'assillo del passato causale o, come si direbbe più di recente, dell'euristico sull'ermeneutico.
Graf Durkheim, di ritorno dal Giappone nel '55, portava a casa una terapia iniziatica fondata sulla consapevolezza del centro corporeo-animico, lo hara e sul rilassamento con "presa a terra", il grounding che verrà poi ripreso da Lowen.
Le tecniche
L'arrivo negli Stati Uniti di questo approccio, oltre all'attenzione di Maslow e altri ricercatori ha corrisposto soprattutto allo sviluppo di tecniche per veri e propri interventi transpersonali, come già in parte si faceva in Europa tra psicosintesi e sogno da svegli guidato. Le tecniche statunitensi sono improntate ad una esperienza di trance radicale e di estrema alterazione degli stati di coscienza (testimoniati già negli anni '70 da un noto film di Kurt Russell). Sicuramente le ricerche del farmacologo svizzero Albert Hofmann sull'ergot e su funghi e cactus sud-americani che dettero origine a sostanze quali l'acido lisergico o la mescalina, ampiamente sperimentate dal loro stesso scopritore, lasciarono il segno su un'intera generazione, da Erns Junger a Walter Voght, da Aldous Huxley a Timothy Leary per finire anche nei laboratori degli psicoterapeuti sperimentali come Stanislav Groff. Come molti altri, Groff si servì di queste esperienze per studiare i livelli di consapevolezza delle persone e la transizione previta-vita-morte(-rinascita).
La tecnica più diffusa e più usata, partorita dallo stesso Groff, è quella dell'iperventilazione, o respirazione olotropica che ha poi posto il metodo usato da quelli del Rebirthing (Orr). Altre tecniche sono il lying di swami Prajnanpad o l'illuminazione intensivadi Yogeshivai Muni e Charles Berner.
Osho Rajnesh e altri guru come Maharashi oltre a prediche e insegnamenti adottavano techiche di trance. Più complesso, il metodo buddhista ha rappresentato forse la via più osservata alla trascendenza dell'Io.
Oltre a Tartang Tulku e Chyogiam Trungpa che hanno avvicinando le tecniche orientali all'occidente parlando la lingua dei destinatari, gli occidentali non sono certo rimasti fermi e i lavori di Ken Wilber e gli eredi di quel gruppo del transpersojnale hanno proposto modelli più moderni, per quanto vicini a quelli di Assagioli, nonché studi e osservazioni molto toccanti degli ultimi giorni della compagna.

L'Alchimia sacra e filosofica descrive l'Opera spagirica come una progressiva separazione delle impurità per giungere alla ricomposizione delle parti in una nuova forma, pregna della propria essenza e libera da condizionamenti e contaminazioni terrene. Può anche apparire stravagante che chi si adopera tanto a separare e rifuggere la materia come il mondano, poi dedichi l'intera sua vita ad esaltarlo. Fatto sta che la convinzione degli Alchimisti era anche che l'essenza di Dio fosse per l'uomo celata nella Materia e che il nostro compito sia quello di farla risplendere per renderla conoscibile a se stessa. Naturalmente, così dicendo, stiamo implicitamente affermando che l'Opera consente a Dio di prendere ogni volta nuova coscienza di sé. E ognuna di queste prese di coscienza è una fase dello sviluppo dell'umanità (o della singola persona) che si accende. Non deve sembrare troppo strana questa visione materiale della divinità, in quanto proprio Cristo, il Salvatore aveva esaltato il concetto nell'idea di resurrezione, non dello spirito, ma del Corpo, pur che debitamente purificato dalla morte a se stesso.
Quest'idea non è altrettanto chiara, anche perché il più delle volte non condivisa dalle psicologie contemporanee, il più delle volte dedite ad un'operazione perniciosa, qual'è la sintesi, la condensazione delle parti, nell'Opera spuria, carica di ideologie, di contaminazioni, di compromessi e possessività di tipo proiettivo (o di identificazione proiettiva).
La purificazione dalle parti, dai carbonati spuri, dall'attorcigliarsi delle maschere al sentire è il lavoro più lungo e penoso, quello che gli alchimisti chiamavano nigredo o "Opera al Nero" (la separazione del piombo e dei metalli pesanti in genere), resa celebre dal libro di Margherite Yourcenar.
Il lutto della separazione dalle parti voluttuose che paiono le più vitali per arrivare alla rassegnata consapevolezza che le inquietudini e la sofferenza nascono dall'ambiguità dell'attaccamento è sicuramente il processo più lungo e quello meno glorioso, sia nella spagira che nella psicoterapia. Non di rado il lavoro si ferma qui, ad un elaborato consapevole delle proprie parti, accuratamente distinte e ordinate. La terapia delle nevrosi il più delle volte si ferma a questo livello intermedio. Questa è la ragione dei frequenti ritorni e ricadute.
Non bisogna essere però troppo severi con queste evoluzioni incomplete: per molti clienti o pazienti che dir si voglia, questo traguardo è il massimo raggiungibile e già prima di giungere qui non di rado si esce sconfitti a metà percorso.
La purificazione che fa da preludio alla nigredo è un buon punto per fermarsi con persone particolarmente giovani e comunque restie ad affrontare le dinamiche del lutto che costituiscono la vera essenza di questa fase. "Resta felice dell'apparenza, almeno fino a quando hai la possibilità, fortunata o sfortunata, di potervi rimanere.
A questa fase si ascrivono gran parte delle terapie transazionali, comportamentali e di tipo cognitivo che lavorano sulla riparazione, possibilmente saltando il lutto e la separazione, la perdita della condizione di onnipotenza.
Quando incominciamo invece a distinguere fra quanto appartiene alla propria identità e quanto le è estraneo iniziano i veri dolori, soprattutto perché la prospettiva che si offre non è tanto quella di ritornare guariti in discoteca, quanto quella di essere più soli anche quando si sta in compagnia.
Spesso questa fase viene ben accetta nei pazienti che, in maniera agostiniana, si sono tolti i desideri peccaminosi nella gioventù e ora cercano un training per affrontare la maturità avanzata o l'inizio della vecchiaia.
Sono restio ad accettare questi moventi, perché sono quasi sempre strumentali, intimamente carichi delle maschere dell'adolescenza che fanno da sfondo a definire per contrasto il presente. Persone di questo tipo si presentano cariche di vissuto, mentre non riescono affatto a vivere correttamente il "Qui e Ora" e per convincerci fingono, tenendo celati segretamente gli scheletri nell'armadio che continuano segretamente a vivere in parallelo la condizione adulta.
Ancora più dolorosa può risultare quindi questa fase, perché i fantasmi vanno scovati, esumati e purificati uno per uno, con la fatica doppia di scovarli e riviverli da un lato, desiderarli, amarli e bruciarli vivi, dall'altro.
Questo è il lavoro tradizionalmente condotto sull'Io e sulle sue parti dalle varie psicoanalisi più tradizionali, a quelle dell'Io, ma anche della psicologia sistemica e della famiglia di tipo esistenziale (Whitaker, Satir...) all'ipnosi ericksoniana, dalla psicologia umanistica fondamentale come soprattutto la Gestalt (dalla sedia che scotta di Pearls alla narratività di Poltster, apparentata con Knowles e poi Demetrio); perfino alla PNL (o NLP che dir si voglia) partendo dal lavoro sui metamodelli fino ai processi di identità di Dilts possono, in modi molto diversi affrontano più o meno in profondità la separazione dell'Io. Capita talora che non sappiano andare oltre la scomposizione, ma in genere il più delle volte arrivano a ricomporre un'idea (talora un ideale) di Io, non sempre avendo perseguito con sufficiente assiduità l'obiettivo dell'espoliazione e della purificazione.
Superata questa fase, addirittura a metà dell'Opera al Nero si scorge all'orizzonte il profilo dell'albedo, l' "Opera al Bianco". In questa fase il Sale (metalli, parti pesanti dell'Io) sono stati separati, carbonizzati e inceneriti dopo che sono stati estratti e distillati anima e animus mercurio e zolfo, per venire poi riuniti e ridistillati fino a che non si ottiene il prodotto puro. L'Io puro non esiste, ovviamente, ma la fiducia ( talora contestata dai materialisti spirituali - alla Guenon - esperienziali) è che la persona giunta a questo livello abbia esperito questo suo Io in modo da discernerlo dalle manifestazioni del mondo, dalle sue maschere, e dall'irruzione delle contaminazioni.
Questa fase dell'Opera corrisponde al perfezionamento e al potenziamento della propria immagine, lasciando che spontaneamente emerga l'intenso entusiasmo amoroso ispirato di completare il processo di identificazione e individuazione del sé, il gamete originario, l'archetipo di sé sia fine a se stesso che in realzione agli archetipi collettivi.
Nessuno può realizzare un intervento su una monade, ma l'accoppiamento strutturale di cui parlavano Maturana e Varela può influire nella "rinascita del medesimo" nietzschiana e la relazione clinica può favorire la rubedo l'attivazione dell'energia che sprigiona dal nocciolo nucleare detto anche sé. Il "sé" va distinto dalla versione anglosassone che lo qualifica come un dato caratteriale di tipo personologico: si tratta di una contrazione di energia e materia, del gene originario, del proprio meme genotipico e fenotipico, l'archetipo che è la quintessenza di quanto ognuno di noi è scarsamente riuscito a divenire.
L'Opera al Rosso è presente e ovviamente ancor più arbitraria che nelle altre fasi, in molte delle psicoterapie che si richiamano alla definizione "Traspersonale" espressa da Maslow come il punto più alto dell'evoluzione della piramide dei bisogni umani. Le scuole, o meglio i sentieri del transpersonale sono diversi e molto sfrangiati: si va dall'approccio più o meno religioso di matrice occidentale o orientale, alle formazioni più o meno esoteriche, alle vie più scientifico-sperimentali come il caso di molte metodologie psicoterapeutiche, dalle più remote Psicosintesi e Psicologia Analitica (o del processo di individuazione) jungiana, alle più moderne sinossi.
Se la fase al Bianco è stata condotta bene, in quella al Rosso sarà l'interessato stesso a sapere che strade intenda intraprendere, il più delle volte passando dalla teoria alla pratica, riconoscendo "a pelle" l'insegnante.
La via transpersonale è controindicata per le personalità deboli che non abbiano consolidato a sufficienza i livelli dell'Io. Il rischio di plagio e di truffa grave dell'anima è alle porte ogni volta che ci si muove in questo mondo e il seduttore diabolico ha facile presa in questi soggetti che diventano ben presto manovalanza o carne da macello di sette per persi.
Nondimeno la persona evoluta fa gola tanto a buoni maestri che a millantati tali: è come potere disporre di una fonte di energia e di comunicazione straordinaria per quanto sono rare da trovare. Attenzione quindi a non cedere alla tentazione di declinare l'entusasmo per il sé ritrovato in finalità mondane. In questa fase il vero maestro non indirizza e men che mai seduce o persuade, ma segue e porta l'attenzione alle istanze individuali emergenti, consentendo alla persona di comprendere rischi e opportunità. Questo che stiamo percorrendo da un po' non è però più il fiume della psicoterapia: è ormai il mare dello spirito e la strada fin qui percorsa è stata così lunga che da un po' ognuno cammina con le proprie gambe per strade diverse. Com'è giusto che sia.
Per il santo Milarepa, i maestri non potevano che essere molti, anche quelli cattivi, e ognuno di loro aveva aperto una parte di lui, in modo che, per quanto pieno di gratitudine, diventasse egli stesso maestro del prossimo.

7.1.03

Leggendo il testo dell'intervista rilasciata negli ultimi anni o mesi della sua vita da Jung credo di avere per la prima volta potuto, non solo accettare, ma anche eccitarmi dell'idea di Archetipi dell'Inconscio Collettivo.
Quegli jungiani che hanno passato il tempo a saltabeccare fra miti greci e cavalieri medievali avrebbero frainteso il maestro, secondo il quale questi archetipi sarebbero delle configurazioni, dei pattern su cui insiste il comportamento collettivo. Come delle proteine, dei virus, avrebbero il potere di diffondersi nella comunità proprio come i memi di cui parla Il Gene Egoista.
Proprio come il biologo sottolinea il valore del meme per una sostanzialità diversa da quella fisica, anche Jung, dopo avere ricordato la nostra tendenza a rimuovere "la materia di cui è fatto il fenomeno", perché un "fatto" (che lui chiama anche "fantasma") esiste, è esistito e continuerà ad esistere, sostiene che i "fatti" hanno una loro sostanza, un corrispettivo della fisica della materia o di quella dell'energia.
Per questo possiamo considerare gli Archetipi dei geni della coscienza collettiva (preferisco quest'idea di coscienza, intesa come "stato di coscienza", a quella di inconscio). Sono dei modelli formali che precedono i miti; dei pattern nell'economia dei gruppi e dei popoli.

Martin Schönberger, in The hidden key of life edito nel 73 a Monaco e citato da Lama Anagarika Govinda ne La struttura interna dell'I King affianca l'ottetto degli esagrammi a quello della struttura del DNA dove "...i due cordoni di arresto UAA e UAG del codice genetico significano nel linguaggio dell'I King, RITIRATA (33) e ASTRAZIONE (12), mentre il segnale di partenza del codice genetico UAG significa IL VIANDANTE (56).
Anche questo diario nasce dal viandante. La partenza è sempre piccola e incompresa, ma per questo forte del potenziale energetico che l'entropia non ha ancora consumato.
IL VIANDANTE è la neghentropia, proprio come lo zero dei Tarocchi, il cosidetto matto che molto meglio sarebbe rinominare appunto "il viandante": l'incrocio del nastro di Möbius, il paradossale inizio e fine della retta o dell'infinito.
All'inizio non è l'Aleph o Mago, perché l'inizio vero coincide con il termine, con la fine. L'inizio è l'intangibile "punto", il collasso degli estremi, il paradosso fisico della massa imponderabile, senza peso. L'inizio è il nel senso jungiano, L'Unico in quello di Stirner... e ancora l'atman, "l'eterno ritorno del medesimo" o la bodichitta. Come il tao è per l'universale, il viandante è per il vivente.
Con l'Aleph, con il Mago, nasce l'Io, e con esso la Storia, in quanto declinazione delle Proprietà, nel senso che ne dà Stirner, ad un tempo di possedimento e di attributo. Il sé è spoglio e neghentropico fino a che ad esso non vengono conferiti degli attibuti, fino a che non viene coniugato con delle qualità che diventano immediatamente i suoi primi possessi, appunto, il doppio senso del concetto di proprietà. L'idea dell'io come prodotto del Demiurgo, da altri chiamato il "Re del Mondo". Per seguire il Cristo occorreva abbandonare quel che si aveva, non tanto i soldi come hanno voluto insegnarci le chiese, quanto gli attributi, il "proprio" le proprietà distintive di sé, l'Io, essere dei risorti, dei morti a se stessi o, più precisamente, morti dell'Io e risorti del sé.
Ogni pezzo del nostro "IO" è una manifestazione del Demiurgo della Gnosi, che ci seduce con la vanità del possesso, degli attributi o, come dicono i tibetani, dell'attaccamento.
Il padrone del velo di Maya ci seduce con l'illusione della "Realtà" che altro non è se non la decadenza dell'entropia. Il regno degli attributi è un bluff destinato a scomparire, a svuotarsi, mentre l'anima dovrà disperarsi per ritrovare il sé.
Allora il passaggio dal Mago è sbagliato. No. Non solo è inevitabile, ma è l'inizio dell'Alchimia, la Grande Opera, che prima o poi riesce a portare alla neghentropia qualche pezzo di vita. La vita non è maya, è energia e fenomeno. È la Dama prigioniera nel Castello che l'Eroe deve salvare, portandola alla verità (sottraendola dalla "Realtà"=Castello=Maya=Mondo).
Fino a che però continueremo a vederla nella maniera occidentale del bene contrapposto al male saremo sempre nelle mani del Demiurgo. Per questo occorre vederla come una danza i cui si esalta la grandezza di Dio, del Dio supremo che preferite e che in tutte le religioni c'è, compreso fra gli atei.
Prima di tutto però, la lezione insegna, si parte dal Viandante, sapendo che Viandanti si torna.
(dedicato a Giorgio Gaber, viandante della morale, parte dell'anima di questa esistenza)